LA MEMORIA DI AUSCHWITZ

Giornata della memoria - Auschwitz
IL DOVERE DELLA MEMORIA: LA RICORRENZA DEL 27 GENNAIO E LA TESTIMONIANZA DI PRIMO LEVI

Fino dal tempo di detenzione nel campo di sterminio di Auschwitz, Primo Levi sentì l’esigenza di raccontare la sua esperienza infernale e, subito dopo il ritorno, provò l’impulso immediato e violento di farne “gli altri” partecipi, forse per liberarsi di un peso insopportabile da sostenere.

Voi che vivete sicuri 
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici: 
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango 
che non conosce pace 
che lotta per mezzo pane 
che muore per un sì o per un no. 
Considerate se questa è una donna, 
senza capelli e senza nome 
senza più forza di ricordare 
vuoti gli occhi e freddo il grembo 
come una rana d’inverno.

Così leggiamo nella poesia che costituisce l’avantesto di Se questo è un uomo.

Scrisse il libro di getto, con l’incubo di non essere ascoltato e creduto. In realtà, nella frenesia vitale di riappropriazione dell’esistenza, caratteristica di tutti i dopoguerra, non c’era troppa voglia di voltarsi indietro e riaffondare nell’orrore del passato. Il libro, rifiutato da Einaudi, trovò finalmente un editore che ne stampò soltanto duemilacinquecento copie, di cui appena millecinquecento vendute, soprattutto a Torino, città dell’autore. Italo Calvino ne fece una buona recensione sull’Unità, ma Levi, convinto ormai del fallimento della sua aspirazione alla scrittura, si impegnò a svolgere con scrupolo soltanto la sua professione di chimico.
Primo Levi

Dieci anni dopo, furono i giovani a risvegliare in lui la vocazione sopita.

Invitato nel 1956 a partecipare ad una mostra sulla deportazione, egli si vide circondato dai ragazzi che volevano sapere, volevano sentirlo raccontare. La sua parola, concisa, senza sbavature, con l’evidenza efficace della verità dei fatti raccontati, trovò finalmente gli ascoltatori attenti che egli avrebbe voluto incontrare nei primi anni del suo ritorno a casa.

L’editore Einaudi, nuovamente sollecitato, si decise finalmente a pubblicare il libro, nella collana dei Saggi (1958) e da allora esso fu ristampato e tradotto in tante lingue del mondo. A questo libro ne seguirono altri: La tregua, Vizio di forma, La chiave a stella, Se non ora, quando?, I sommersi e i salvati, che confermarono in Primo Levi la sua vocazione di scrittore e gli fecero ottenere premi e riconoscimenti in Italia e all’estero.

Egli era tornato dai campi di sterminio nell’ottobre del 1945, dopo un viaggio lungo e avventuroso attraverso la Russia, viaggio che descrisse nel suo secondo libro La tregua, pubblicato nel 1963 e premiato a Venezia col Campiello. Il racconto, scritto con intenti letterari, cioè con una più accurata elaborazione formale, con una maggiore variatà di argomenti, con note anche ironiche e scherzose che potevano rendere più piacevole la lettura, ha avuto nel 1997 una trasposizione filmica, realizzata dal regista Francesco Rosi nel decennale della morte dell’autore.
Giornata della memoria - Auschwitz

27 GENNAIO, GIORNATA DELLA MEMORIA

Ricordare perché non accada mai più. Questo il senso della «Giornata della memoria», un evento che si celebra contemporaneamente in gran parte del mondo occidentale per commemorare le vittime dei campi di concentramento nazisti. Il 27 gennaio è una data altamente simbolica: nel 1945, infatti, le avanguardie delle truppe sovietiche raggiunsero il campo di concentramento di Auschwitz (l'odierna Oswiecim, in Polonia). Per la prima volta, l'orrore della «Soluzione finale» escogitata da Hitler e dai suoi gerarchi per liberarsi, una volta per tutte, della «questione ebraica», apparve nella sua banale, allucinante realtà. Ad Auschwitz trovarono la morte, uccisi nelle camere a gas o dagli stenti, quattro milioni di uomini, donne, bambini. Quasi tutti ebrei. Ma furono sterminati anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, oppositori politici e altri «nemici» del Reich millenario. Nel complesso, le vittime della Shoah, o Olocausto, furono circa sei milioni.
Forni crematori nazisti a Auschwitz
La memoria della Shoah, dell’olocausto, con l’istituzione della Giornata della Memoria, viene rievocata ogni anno attraverso il valore emblematico della liberazione del lager di Auschwitz che avvenne, più di settant’anni fa. Il 27 gennaio del 1945 cadeva di sabato. L’Armata Rossa, e più precisamente la 60ª Armata del Primo Fronte Ucraino, arrivò nella cittadina polacca di Oswieçim (in tedesco Auschwitz), a 75 km da Cracovia. Le avanguardie più veloci, al comando del maresciallo Konev, raggiunsero il complesso di Auschwitz-Birkenau-Monowitz nel pomeriggio e attorno alle 15:00 i soldati sovietici abbatterono i cancelli del campo di sterminio, liberando circa 7650 prigionieri. Ad Auschwitz, circa due settimane prima, i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con loro, in una marcia della morte, tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono lungo il percorso. In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi nel profondo est polacco, come quelli di Chełmno e di Bełżec , ma questi, essendo di sterminio e non di concentramento, come Treblinka e Sobibòr, erano vere e proprie fabbriche di morte dove i deportati venivano immediatamente uccisi nelle camere a gas. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l’orrore del genocidio nazista. In totale, solo ad Auschwitz, furono deportate più di un milione e trecentomila persone. Novecentomila furono uccise subito al loro arrivo e altre duecentomila morirono a causa di malattie, fame e stenti. I soldati sovietici si trovarono di fronte non solo i pochi sopravvissuti ridotti a pelle e ossa ma, durante l’ispezione del campo, rinvennero le prime tracce dell’orrore consumato all’insaputa del mondo intero: tra i vari resti, quasi otto tonnellate di capelli umani.

I morti nei campi di sterminio, ai quali vanno aggiunti anche le centinaia di migliaia di ebrei uccisi nelle città e nei villaggi di Polonia, Ucraina, Bielorussia, Russia, i morti del ghetto di Varsavia e altri ancora, furono oltre sette milioni. La ricorrenza del 27 gennaio offre una buona occasione per riflettere sulla storia agghiacciante della discriminazione e dello sterminio razzista: una storia tragica, scandita in Italia settantasei anni fa dalle leggi razziali del 1938 che cancellarono i diritti civili di quaranta mila cittadini italiani, dai luoghi dell’annientamento fisico di milioni di ebrei, di detenuti politici, di persone definite da Hitler “difettose”. Una riflessione che è parte di uno sforzo necessario per garantire la continuità delle conoscenze tra le generazioni, affinché si possa comprendere, sino in fondo, il significato del nazi-fascismo, che aveva posto a suo fondamento il principio di discriminazione; e come in ogni momento in cui questo principio riemerge, la tragedia può ripetersi. E, infatti, si ripete in un mondo scosso da guerre, eccidi, violenze dal medio oriente all’Africa, dal continente sudamericano fino all’estremo oriente...
Campo di sterminio ad Auschwitz

Mario Pacifici ha scritto un libro in dodici racconti, intitolato UNA COSA DA NIENTE (2006), dove descrive la discriminazione antisemita delle Leggi razziali del 1938.  In dodici racconti quindi, il dramma di una minoranza tradita dal regime ed estromessa dalla propria patria. I soprusi, le umiliazioni, l'isolamento; l'indifferenza di una società a volte distratta, a volte malevolmente partecipe e poi, dopo la sconfitta del fascismo, la facile autoassoluzione di chi non aveva avuto la forza di indignarsi.

Qui di seguito riporto la......
Introduzione

     Nel 1938 il regime fascista introdusse in Italia una serie di provvedimenti “in difesa della razza”, che colpirono drammaticamente tutti gli ebrei del Regno.
     I cittadini ebrei furono cacciati dalle scuole, dalle università, dall’esercito e dal pubblico impiego, mentre un’infinità di vessatorie disposizioni rendeva loro la vita impossibile in ogni campo. 
     Essi persero il lavoro e con esso la sicurezza di un dignitoso sostentamento. Coloro che possedevano aziende se ne videro spogliati. 
     Al di là e al di sopra di tutto questo, gli ebrei furono privati della dignità e della speranza. 
     L’emancipazione che avevano conquistato nel corso del Risorgimento fu cancellata d’un colpo e per loro si riaprirono idealmente i cancelli di quei ghetti, in cui avevano conosciuto secoli di angustie e di umiliazioni. 
     I decreti, le leggi e le circolari ministeriali, a tutti noti col nome di “leggi razziali”, furono emanati da un regime dispotico e totalitario, ma ebbero il sostegno delle Istituzioni e il consenso talvolta distratto della popolazione. 
     Se è vero che l’iniziativa politica fu di Mussolini, è altrettanto vero che fu il Parlamento a varare la legislazione razziale e che il Re non fece mancare la sua firma di ratifica. Non ci fu un solo intellettuale, fra quelli che pur sedevano in Parlamento o che affollavano le Università, capace di levare la propria voce per denunciare il vulnus che veniva inferto alla cultura giuridica italiana. 
     Oggi, molti italiani hanno, di tutto questo, solo una vaga percezione, mentre il mito inossidabile degli “italiani, brava gente” lascia poco spazio ad una valutazione critica dell’accoglienza che le leggi razziali ebbero nella società.
     Il Governo, si dice spesso, concesse qualcosa all’alleato nazista, imponendo al popolo italiano misure razziali estranee al suo modo di sentire. Ed è per questo, si dice, che la disciplina razziale fu applicata in Italia solo “all’acqua di rose”.
     Non c’è nulla di più falso.
     Le leggi furono applicate, nella scuola come nell’esercito, con un puntiglio ed uno zelo degni di miglior causa. E se qualcuno può considerarle poca cosa è solo perché le contrappone alle successive persecuzioni e deportazioni.
     È vero, in Italia non ci fu una “notte dei cristalli”, ma il dramma degli ebrei si consumò nel silenzio di tutti, con la connivenza di tutti.
     Se dopo l’8 Settembre del ’43 ci furono in Italia innumerevoli esempi di coraggio ed eroismo, in difesa degli ebrei perseguitati, non ce ne furono molti, prima di quella data, in difesa degli ebrei discriminati.

Ci fu solo silenzio.

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