Note sulla scrittura

Telemaco Signorini: Bambina che scrive

di Francesco Ambrosio  (in Patria Letteratura)

Alcune brevi considerazioni sulla scrittura.

Nell’ambito della scrittura, sarebbe improponibile l’archetipo di un bisturi che disseziona un cadavere – ovvero, fuor di metafora, una scrittura ad uso di chi osserva la vita passare ritraendosene. Questo non è che una delle letterature e delle poetiche possibili. La confusione, forse casuale, avvenuta tra le letterature e il reportàge parte a mio avviso dal realismo italiano, che a differenza del naturalismo francese, maschera la sua connotazione pessimistica con una presunta “oggettività”. Di lì al post-modernismo il passo è relativamente breve. Si attraversa il periodo delle due guerre, che non fa, tramite la sua parziale strumentalizzazione dell’arte, che aggravare la ripulsa verso l’èpos e la narrazione virtuosa e delle virtù. Cosicché sempre più alla scrittura “vera” si lega un senso di acrimonia smorzata, un continuo stizzirsi e lamentarsi. La differenziazione delle letterature tra i continenti opera sempre una forte leva sulle opere, ma negli ultimi cinquanta anni abbiamo potuto riscontrare il rinascere della ricerca dell’individuo su sé stesso, ma in maniera parziale e appassionata – cioè come davvero il lettore vorrebbe essere trattato. Questa passione non è necessariamente ariosa ed apollinea; anzi a volte seduce con la sua forza ctonia, viscerale – si pensi al proliferare del pulp e della fantascienza – ma è comunque un atto di fiducia dello scrittore medesimo nella potenza “elettrica” del suo mezzo.

Dico elettrica non a caso, dacché indubbio precursore della rapidità fremente, quasi angosciosa del nostro tempo è stato sicuramente Dino Campana, che coi suoi “Canti Orfici”[1] ha ri-scoperto, dopo disfattismi e positivismi parimenti discutibili, la forza tellurica della parola scritta.

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Giorni fa, finendo di leggere il romanzo di Nicholson Baker L’Antologista [2] ho provato un’intensa sensazione di chiarezza circa la scrittura e le vicende umane. Mi è sembrato finalmente di poter ricreare un’identikit non solo dello scrittore, ma persino della scrittura stessa.

Poco dopo la sensazione è sfumata, ma mi è rimasta una traccia: le questioni di metrica e fonetica, che un tempo ritenevo rilevanti solo quando una poesia – per il romanzo sono le strutture narrative e morfosintattiche – non avesse abbastanza forza per reggersi in piedi, trasfigurano invece per chi le tratti con “rispetto” in una serie di amici e amiche di vecchia data, perle che nobilitano la collana già preziosa di versi. Leggendo opere che comunemente apostrofiamo come “classici”, “capolavori” od anche testi “sperimentali”, tocchiamo con mano ciò che è la bellezza duplice di forma e contenuto che si intersecano, si contaminano, si rincorrono come amanti giocosi. Visto sotto questa luce, la letteratura come scrittura slegata dall’aspetto cronachistico rivela un caleidoscopio sensazionale di emozioni e aspettative. Interessante è a questo proposito l’uso che alcuni grandi scrittori hanno fatto del fatto di cronaca; proprio grazie ad esso la realtà che conosciamo viene distorta sino ad essere trasformata in un’altra realtà quasi-parallela alla nostra. Così vicina da far fatica a distinguerla da quella che sperimentiamo fuori dal libro. Penso ad esempio ai romanzi di Gadda od a Truman Capote nel suo celeberrimo A sangue freddo, o persino alle poesie della Beat Generation.[3] Sembra insomma che la pagina scritta porti in sé, assieme alle caratteristiche del fatto narrato e di chi scrive, un sistema di analogie portentose che ci spingono, per l’ennesima volta, a ritrattare le nostre posizioni.

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Nonostante usi un computer portatile per trascrivere in bella copia, mi avvalgo spesso della carta: tra questi fogli foglietti taccuini cartelline scartafacci in una sequela pressoché infinita di appunti e annotazioni fulminee (o per chi amasse la boutade, da fulminato). Quando poi ho avuto il piacere di riscoprire l’esistenza della grafologia[4], non ho resistito e mi sono fatto una bella perizia.

Ovviamente non la divulgherò; piuttosto però, cari lettori, vi lascerò una piccola chiosa al riguardo.

La traccia scritta, intesa come grafema[4], si è evoluta e differenziata in un numero stupefacente di variazioni. L’espressione più sintetica e lampante di queste variazioni è certamente la firma personale o autografo; con poche tracce rimarchiamo la nostra presenza in un mondo (Fiscale, Giuridico, Letterario, Psicologico etc.). Quanti di noi hanno d’altronde riconosciuto la scrittura come snodo dell’identità? Ben pochi, assimilabili ad essa più per professione che per volontà.

Eppure la scrittura, così come altri saperi legati al Fenomeno Uomo, hanno ancora, nella loro struttura e non solo nello scopo contingente per cui vengono utilizzati, un’energia particolare e impossibile da ignorare per chi la noti anche solo una volta. Vasilji Kandiskij, pittore ben noto al grande pubblico per le sue composizioni astratte, sosteneva nel celebre “Lo spirituale nell’Arte”[5] , che il punto massimo di enfasi artistica un’opera lo raggiunge nel momento in cui v’è “risonanza interiore”. Ebbene, osservo io , che certo anche nella scrittura – e nella fattispecie in quella manuale –  v’è in un certo grado questa peculiarità… provare per credere.

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[1]-Dino Campana (1885-1932) è stato un poeta italiano, o meglio una meteora nel panorama letterario italiano. Ebbe una vita tormentata, pubblicò il suo unico libro, i “Canti Orfici” nel 1912, a sue spese. A discapito di chi sempre lo bollò come pazzo (lo chiamavano “il màt campéna”), la sua poesia segnò inequivocabilmente l’orizzonte letterario del novecento italiano. Qui un bel sito per chi volesse approfondire: http://www.campanadino.it/
[2]-Nicholson Baker, nato nel 1957 a Portland, è uno scrittore statunitense. Le sue opere hanno spesso incuriosito lettori e critica per il missaggio sapiente di erotismo, ironia, nozioni sulla poesia e sulla letteratura. Il romanzo citato è “L’antologista” ,  Milano, Bompiani 2012.
[3]-In contesti differenti, questi autori hanno dimostrato a sé stessi e ai propri lettori più di una volta che la scrittura, lungi dall’esser solo un mezzo, arriva a possedere una realtà autonoma. Per questo tipo di tematica  può essere illuminante ad esempio “La vita interiore di Martin Frost” di Paul Auster .
[4]-Grafologia: Scienza che ha per oggetto lo studio della scrittura in quanto rivelatrice del carattere e delle considerazioni psichiche e morali della personalità. Le applicazioni della g. sono assai vaste: in campo medico, per quanto riguarda per esempio le informazioni di carattere psicologico fornite dalla scrittura, la g. è considerata uno strumento indispensabile alla  psicologia clinica come metodo di esplorazione della personalità dell’individuo, mentre ha una utilità più limitata in campo psichiatrico in quanto non fornisce informazioni dirette su eventuali disturbi psichici dell’individuo. (Da “Corriere della Sera/Dizionari”)
Grafema: I grafemi sono le unità grafiche elementari, non suddivisibili ulteriormente, che servono a riprodurre nello scritto i suoni di una lingua. Il termine, modellato sulla serie fonemamorfema, ecc., contiene la radice greca grápho «scrivo», che rinvia all’ambito della scrittura. I grafemi sono oggetto di studio della branca della linguistica detta grafematica, e in linguistica sono convenzionalmente indicati tra parentesi uncinate (‹ ›)  (Da “Enciclopedia Treccani Online”)
[5]-Vasilij Kandisky -Lo spirituale nell’arte. 1912.

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