UN GRAZIE ALLA VITA

Oliver Sacks nel 2000
Nell’addio di Sacks un grazie alla vita
Consapevole che sta per morire di cancro scrive un gioioso bilancio su amori, studi, libri
Articolo di Ferdinando Camon
(La Stampa, 2016)

Oliver Sacks sta morendo di cancro, non c’è più niente da fare, uno dei ricordi più atroci è la maledizione di sua madre quando ha saputo della sua omosessualità, eppure si mette al tavolo e scrive un ringraziamento alla vita, commosso perché molto ha ricevuto ma qualcosa ha dato. Io credo che la commozione scatti soprattutto perché qualcosa ha dato. E come? Scrivendo libri. Il suo modo di vivere è stato scrivere. Lui muore, ma poiché i libri che ha scritto sono ancora vivi, lui resterà ancora vivo. Scrivere è un privilegio, e la gratitudine che, morendo, esprime alla vita, è per aver avuto questo privilegio. Morire è lo scacco della condizione umana, la sconfitta di tutti e di ciascuno. Qualcuno pensa che sopravvive chi è grande e perciò ammirato, è l’ammirazione lo strumento della nostra immortalità.

Oliver Sacks pensa che il sentimento che dobbiamo meritare per non morire sia un altro: l’amore, e lo scrittore che vuole ottenere l’amore dell’umanità non deve scrivere la bellezza, fare opere belle, ma scrivere la verità, una verità vera anche dopo che l’autore sarà morto. Allora il ricordo che l’umanità avrà di questo autore è la gratitudine. E la gratitudine dell’autore per aver scritto è il contraccambio di quel ricordo.

Copertina italiana di GRATITUDINE: gli ultimi scritti del neurologo
Scrivendo Gratitudine, librino breve, intenso e inobliabile, Oliver Sacks, passata la soglia degli ottant’anni, dice ai suoi lettori: «Vi sono grato di essermi grati». E noi, finito di leggere questo addio, gli siamo grati perché l’ha scritto. C’è un magistrato qui nella città in cui vivo, famoso per alcune inchieste sul terrorismo, che è anche un accanito lettore e tiene conferenze sui libri. Andando a parlare de La Città di Dio di Agostino confessò: «Finita l’ultima pagina, ho chinato la testa sul tavolo e mi son chiesto: Che cosa ho fatto io nella vita, per meritare di leggere questo libro?». Ci sono libri che bisogna «meritare» di leggere. Non tutti ne sono degni. Ogni libro ti fa un dono, ma ci sono libri che ti fanno un dono così prezioso, così completo, che ti chiedi se ne sei degno.

Oliver Sacks ha avuto pazienti che morivano dicendo: «Ho avuto una vita piena, e adesso sono pronto ad andarmene». «Per alcuni di loro, questo significa andare in paradiso: sempre il paradiso e mai l’inferno, anche se Samuel Johnson e James Boswell tremavano entrambi al pensiero dell’inferno e s’infuriavano con David Hume che non aveva tali convincimenti. Io non credo in un’esistenza dopo la morte (né la desidero), se non nei ricordi degli amici, e nutro la speranza che alcuni dei miei libri possano continuare a “parlare” alla gente dopo la mia morte».

La soglia oltre la quale si cambia il pensiero sulla vita e sulla morte è ottant’anni: «Quando si hanno ottant’anni, lo spettro della demenza o dell’ictus incombe: un terzo dei propri coetanei è morto, e molti di più, con gravi danni fisici o mentali, sono intrappolati in un’esistenza tragica». A ottant’anni «si può avere un senso della storia, si riesce a immaginare che cosa sia un secolo». Aggiungo io: se poi si passa dal Novecento al Duemila, si ragiona anche per millenni. Morale: «Non vedo l’ora di avere ottant’anni». Ma non è vero, Sacks sta in guardia, cerca di tappare tutti i buchi per i quali potrebbe entrare la malattia, fa nuoto con una nevrotica compulsione. Tutto inutile: la malattia entra da un occhio. Un raro cancro all’occhio. Scoperto nel 2005, va in metastasi nel 2014, e porta all’exitus nel 2015. Quando Sacks ha ottantadue anni. È felice per due ragioni: ha finito la propria biografia e ha mostrato il suo compagno al cugino Robert John Aumann, premio Nobel per l’economia: si sente accettato in tutto quello che è, scrittore e omosessuale. Allora può anche «lasciarsi andare al riposo», come ogni ebreo fa quando arriva lo Shabbat. La sua vita ha un senso, può concludersi. Regalerò questo libro al mio amico magistrato, chissà che non abbassi la fronte sul tavolo un’altra volta.

Oliver Sacks (1933-2015)
Qui appresso un altro pensiero, scritto in occasione del decesso di Sacks nell'agosto 2015...

Oliver Sacks ed il suo insegnamento: “La scienza non esclude la bellezza”
Il celebre neurologo britannico ha lasciato una grande eredità fatta di veri e propri capolavori
di Raimondo Burgio (2015)

In cosa continua ad esistere il genio, l’intelletto, l’animo di una persona che alla fine del suo ciclo vitale e terreno si spegne?

Il problema di lasciare una reale eredità è stato per me sempre cruciale nell’affrontare tutta la vita e sostengo che si “vive per una idea”, affermando in tal modo il principio primo di un lascito ideale e non costituito da beni materiali effimeri. Raccolgo queste considerazioni per accostarmi ad una mancanza nel mondo della cultura, non umanamente tragica, ma annunciata e opportunamente slegata dalla vicenda personale seppur molto sentita e per la quale si parla universalmente di perdita. Mi riferisco alla morte di Oliver Sacks conosciuto da molti per aver dato spunto ad un famoso film “Risvegli” tratto da un suo libro.

Ne parlo perché personalmente ho letto l’intera produzione letteraria e ho apprezzato lo stile espresso da questo celebre neurologo. Pertanto oggi vedere quei libri nello scaffale sono come ammirare un santuario, una cattedrale senza mura. Sacks nella summa dei suoi lavori ha lasciato una Idea, un concetto trasversale: la scienza non esclude la bellezza, l’arte, o la poesia perché li intendeva come aspetti complementari della mente umana. In una stessa pagina era in grado di far scoprire un dato scientifico e sposare la riflessione prettamente umana e personale, nel conciliare il “particolare” del caso clinico con il “generale” della scienza.

Una abilità tipica di altri autori-scienziati e premi Nobel come Francis Crick o Roald Hoffmann che sostiene infatti che “L’arte è in gran parte un’attività di scoperta: scoperta delle verità profonde che sono intorno a noi, che spesso si sovrappongono, ma più spesso travalicano l’insieme dei problemi che la scienza si è proposta di tentare di capire”.

Oliver Sacks aveva la capacità di catturare il lettore nell’approccio a ciò che era la sua passione e cioè lo studio della mente e delle sue distorsioni, inoltre lo stile chiaro diretto e paradigmatico portava la scienza ad un pubblico ampio, generico, non specializzato e senza uno specifico background, ma desideroso di godere di un aspetto bello della attività umana. Sacks neurologo era un personaggio di indiscussa importanza e valenza scientifica in grado sempre di esprimere la dote artistica che gli permetteva di arrivare, con le sue affabulazioni, al cuore della gente.

Edificare nel tempo è un lavoro duro e non basta vivere di ricordi, il lavoro dell’uomo Sacks è concreto e sapiente e lascia una cattedrale densa di ricordi, di sensazioni che nella quieta attività costante e certosina della ricerca afferma che il pensiero e la mente sono universi meravigliosi e che dobbiamo prenderci il tempo e la coscienza per costruire la nostra eredità.
Oliver Sacks: "Il cervello è la cosa piu' incredibile dell'universo"
Oliver Sacks: "Il cervello è la cosa più incredibile dell'universo"
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