UNA VITA IN MOVIMENTO


Oliver Sacks
OLIVER SACKS: I LIBRI, LA VITA, LA MORTE

Articolo di Maria Cristina Coppini

Il 30 agosto 2015, Oliver Sacks è partito dalla sua casa di Manhattan per compiere il suo ultimo viaggio terreno e trovare (forse) la risposta più importante di tutta la sua ricerca scientifica: c’è vita dopo la morte? Come era nel suo stile, ha giocato d’anticipo e affidato a un libro i risultati dell’osservazione sul lato più intimo della propria esistenza.

In On the move, autobiografia pubblicata in Italia da Adelphi (In movimento, 2015), si racconta a modo suo, svelando la sua storia umana, lati sconosciuti della sua vita privata, sempre tenuta gelosamente lontana dai riflettori. Colpisce la sua relazione tormentata con la sessualità e l’amore. Scoperto di essere omosessuale durante l’adolescenza (memorabile il suo racconto dell’orrore negli occhi di sua madre quando venne a saperlo e delle terribili maledizioni scagliate su di lui dalla donna), Sacks si trasferì ancora ragazzo a San Francisco e Los Angeles, e qui visse un breve, sfrenato periodo di promiscuità sessuale nel giro dei culturisti e dei motociclisti. Ma con il suo trasferimento a New York e con l’inizio della sua carriera ospedaliera, Sacks entrò in decenni di vita monastica, assolutamente casta, vissuta da recluso nel suo modesto appartamento del Bronx. Solo nel 2008, a 75 anni, concesse a se stesso di innamorarsi e intraprendere una relazione sentimentale con lo scrittore Bill Hayes, suo compagno fino alla morte.

Cugino dell’ex Ministro degli Esteri israeliano Abba Eban e del celebre fumettista Al Capp, professore di Neurologia alla Columbia University, all’Albert Einstein College of Medicine e al NYU Langone Medical Center, medico figlio di medici, nato nel 1933 a Londra ma vissuto quasi per tutta la vita a New York, dopo un breve periodo giovanile in California, Sacks scrive con tanta ironia e altrettanta onestà, mostrando di essere sempre stato capace di far leva sulle “sfortune” per trasformarle in punto di forza, nei suoi libri come nella vita. Il fratello Michael è schizofrenico e Oliver si specializza in neurologia. Da ragazzo abusa di LSD e anfetamine e in seguito, in Allucinazioni (2012), ne tratta gli effetti sulla propria persona come risultati di un esperimento scientifico. Viene colpito da un melanoma all’occhio e scrive il saggio L’occhio della mente (2010), si rompe una gamba ed ecco Su una gamba sola (1984). Compie ottanta anni e compila un elogio alla vecchiaia quale tempo di piacere e libertà: “Qualche settimana fa, in campagna, lontano dalle luci della città, ho visto tutto il cielo impolverato di stelle (citazione di Milton, ndr)… Ho detto ai miei amici Kate e Allen: Mi piacerebbe vedere di nuovo un cielo simile quando starò morendo”. Come davanti a quel cielo, il suo sguardo è rimasto limpido e pieno di meraviglia perfino negli ultimi giorni.

A uccidere Oliver Sacks sono state le metastasi epatiche e cerebrali di un melanoma uveale diagnosticatogli nel 2006. Sacks ha scelto di condividere la scoperta di queste metastasi e la consapevolezza dell’avvento della fase terminale della sua malattia, di trovarsi insomma “faccia a faccia con la morte”, con i lettori del quotidiano “New York Times”, affezionati lettori dei suoi editoriali. Ma il suo articolo del 19 febbraio 2015 era tutt’altro che disperato: “(…) Mi sento intensamente vivo, e voglio e spero nel tempo che rimane approfondire le mie amicizie, dire addio a coloro che amo, scrivere di più, viaggiare se ne avrò la forza, raggiungere nuovi livelli di percezione e comprensione”. Solo buone intenzioni, una strategia psicologica di difesa? “Non posso fingere di essere senza paura”, ammette Sacks. “Ma il mio sentimento predominante è una specie di gratitudine. Ho amato e sono stato amato, mi è stato dato molto e ho dato qualcosa in cambio, ho letto e viaggiato e pensato e scritto”. Neurologo e divulgatore, scienziato dai mille interessi, Oliver Sacks è sicuramente una beautiful mind dei nostri tempi, stimato dal grande pubblico come autore straordinario di libri in cui amalgama con sensibilità e humour conoscenze mediche, episodi autobiografici e vissuti di pazienti affetti da particolari patologie neurologiche. Opere come Emicrania (1970), l’epocale Risvegli (1973), L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello (1984), che capovolgono le concezioni della medicina tradizionale interessata solo alla malattia, e che invece puntano all’uomo e alla sua esperienza di malato nella quale Sacks trova l’origine della guarigione; che coinvolgono emotivamente e nello stesso tempo trasmettono in modo semplice e chiaro informazioni su patologie altrimenti sconosciute e incomprensibili.

Le sue opere (caso più unico che raro) sono bestseller in quasi tutto il mondo e al tempo stesso vengono usati in numerosissime Università come libri di testo, e non solo nell’ambito delle Neuroscienze, ma anche in facoltà come Filosofia, Sociologia, Lettere. Le vicende narrate da Sacks nei suoi saggi sono servite da spunto per opere poetiche, documentari televisivi, pittura, danza, romanzi, film. Tanto successo non è stato sempre visto di buon occhio nell’ambiente medico-accademico: tra i suoi avversari più feroci va senza dubbio annoverato Arthur K. Shapiro, il padre della ricerca sui tic, che ebbe a definirlo sarcasticamente “migliore come scrittore che come medico”, mentre Tom Shakespeare, bioeticista e leader di una importante associazione di pazienti affetti da acondroplasia, lo apostrofò come “l’uomo che confuse i suoi pazienti con la carriera letteraria” ironizzando sul titolo di uno dei libri di maggior successo di Sacks.

In Oliver Sacks ci sono tanto entusiasmo e pochi rimpianti. Uno, in particolare, riguarda il futuro e il non poter essere testimone delle scoperte scientifiche che rivoluzioneranno il mondo. A ottantadue anni non aveva rinunciato a stare al passo con i nuovi modi di comunicare e usava Twitter. Nel suo ultimo tweet ha condiviso un flashmob musicale con l’Inno alla Gioia di Beethoven.
Oliver Sacks, in lettura nel suo studio

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